La teoria alla base del marketing delle privazioni identifica quella “zona grigia” tra bisogno e desiderio che rende i prodotti e i servizi offerti esclusivi, irraggiungibili e quindi molto desiderabili agli occhi del consumatore. È lecito pensare, quindi, che tale concetto di esclusività sia sempre esistita, ad esempio, nelle tirature limitate, ossia copie stampate in quantità ridotte per singola edizione (volantini, biglietti da visita, francobolli).
L’esempio delle tirature limitate dimostra che il concetto di marketing delle privazioni si può estendere anche ad altre categorie merceologiche.
Vediamo alcuni casi di studio per meglio comprendere in cosa consiste questo approccio strategico che puntando sul prodotto, moltiplica la domanda, mantenendo inalterata l’offerta.
Il marketing delle privazioni di FCA in Cina
La strategia del gruppo Fiat Chrysler Automobiles (FCA) in Cina è perfettamente in linea con quanto detto a proposito del marketing delle privazioni in quanto comprendono alcuni dei suoi principali assiomi:
- La negoziazione, l’illusione e la limitazione: il prodotto non viene volontariamente reso disponibile in una specifica area geografica, sebbene esista una fascia della popolazione interessata ad esso;
- Il senso di privazione: l’incertezza circa la possibilità di acquisto produce un senso di privazione nei consumatori, nonché un forte senso di urgenza;
- Il risultato: il senso di urgenza generato, da un lato, riduce fortemente l’attenzione al prezzo, e dall’altro, incrementa la propensione all’acquisto da parte dei consumatori.
Tali strategie sono state adottate dall’azienda per due linee di prodotto: Maserati Levante e Alfa Romeo Giulietta e in entrambi i casi i risultati sono stati impressionanti.
Il brand Maserati Levante ha venduto 100 auto in 18 secondi, per un totale di 13.740.000 € mentre Alfa Romeo Giulietta, ha registrato 350 auto vendute in 33 secondi, per un totale di 13.740.000 €.
Il marketing delle privazioni di Supreme
Le strategie di Supreme, marchio di abbigliamento newyorkese dedicato agli skateboarder e agli amanti dello stile hip hop e punk rock, sono riassumibili in sei punti:
- Si rivolge a una nicchia: il brand esiste da 23 anni, è stato fondato da un imprenditore che ha aperto un solo negozio per skater a New York. Oggi è uno dei più importanti – se non il più importante – marchio di streetwear e i suoi capi, sono diventati oggetto di culto come solo poche altre società di moda al mondo sono riuscite a fare;
- Sfrutta le limited edition: nel 1995 un articolo di Vogue paragonò il marchio a Chanel, spiegando che nonostante il target molto diverso, in entrambi i casi, si trattava di oggetti del desiderio. Da allora, Supreme è spesso chiamato lo «Chanel dello streetwear»;
- Utilizza la leva del prezzo: Supreme ha adottato da subito una tecnica tipica delle aziende d’alta moda che producono capi costosi per posizionarsi come brand di lusso, ma che poi ottengono i maggiori guadagni dalla vendita di accessori e prodotti più economici. I capi Supreme non sono economici, ma offrendo un’ampia gamma di prodotti, dagli adesivi ai boxer e cappellini, l’azienda è riuscita a sfruttare una strategia simile;
- Ingaggia influencer: la sua forza deriva anche da una buona campagna di influencer marketing finalizzata al coinvolgimento dei profili più seguiti sui canali social (soprattutto su Instagram);
- Ha pochi punti vendita: i prodotti Supreme sono venduti soltanto online e in 11 negozi ufficiali. Dopo quello di New York, è stato aperto uno store anche a Los Angeles nel 2004, e poi a Parigi, Londra, Tokyo, Nagoya, Osaka e Fukuoka (il Giappone è uno dei mercati principali dell’azienda);
- Presenta spesso nuovi prodotti: la proposta di nuovi prodotti ogni settimana è un modo per mantenere costante l’attenzione della stampa specializzata, che spesso, a sua volta, ottiene il suo traffico principale pubblicando le foto dei lanci dei marchi di streetwear e che quindi è ben disposta a diffondere nuove foto di abbigliamento Supreme ogni settimana.
Un ulteriore punto di forza del marketing delle privazioni è, quindi, senz’altro la capacità di mostrare il prodotto (e di mostrarlo come “eccessivo”) senza renderlo disponibile: mantenendo rigida l’offerta, la domanda cresce insieme al prezzo.
ANNA RIGHI